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Gli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche degli ebrei nella città di Roma
Settore: CCIAA Roma
Gli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche degli ebrei nella città di Roma (1938-1943) INTRODUZIONE Frutto della collaborazione tra Camera di Commercio, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Comunità Ebraica di Roma, il volume Gli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche degli ebrei nella città di Roma (1938-1943) propone un’analisi dell’impatto delle leggi razziali fasciste del 1938 sulle attività economiche della comunità ebraica di Roma. Un’analisi che riserva una particolare attenzione all’aspetto economico, ma che non tralascia le conseguenze a livello giuridico e sociale di tali provvedimenti. Il tema degli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche e finanziarie in Italia non è certo nuovo e la storiografia ha già prodotto interessanti risultati a riguardo. Pur avendo sempre manifestato una sua specificità sia storica che economica, con caratteristiche e dinamiche interne del tutto peculiari, la comunità ebraica romana è stata tuttavia lasciata un po’ al margine degli studi oppure è stata inglobata in studi relativi all’insieme degli ebrei italiani. Ciò è avvenuto forse a causa di una limitata conoscenza della documentazione archivistica esistente. In realtà, il materiale riguardante tale breve, ma intenso, periodo storico è piuttosto ampio, anche se spesso frammentato o non inventariato. Fortunatamente, anche grazie agli sforzi condotti dal personale dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, da qualche tempo è stata avviata una razionalizzazione dell’archivio e, più in generale, si è sviluppata una maggiore sensibilità per la conservazione della memoria e dei fatti storici del periodo 1938-1943. LA STRUTTURA Il volume si compone di quattro diversi saggi. Gli autori hanno strettamente collaborato al progetto in modo da seguire, pur nelle distinte metodologie e negli specifici campi di indagine, una trama interpretativa comune. Il risultato che è emerso appare, di conseguenza, fortemente omogeneo e rappresenta un utile spunto di riflessione sulla condizione degli ebrei durante l’ultima fase del fascismo e una base di partenza per ulteriori approfondimenti di carattere scientifico. Gabriella Franzone nel saggio La normazione antiebraica in Italia tra il 1938 e il 1943. Alcune annotazioni di natura giuridica ed economica si concentra sull’aspetto giuridico delle leggi razziali. L’autrice traccia alcune linee interpretative del dibattito storiografico relativo alla questione ebraica negli anni Trenta in Italia, evidenziando soprattutto il modo in cui tali norme discriminatorie incisero sul contesto normativo italiano. Il saggio prende poi in esame l’impatto dei provvedimenti antiebraici, con particolare riferimento alla “discriminazione” , alle sue ipotizzabili motivazioni di carattere economico-finanziario e alle sue conseguenze di natura patrimoniale. Il commercio tessile e la proprietà immobiliare, ambiti per certi versi paradigmatici, sono oggetto di specifiche considerazioni. L’indagine delinea un quadro sostanzialmente non omogeneo dell’effettivo impatto delle norme in questione. Una disomogeneità legata, in buona misura e per una molteplicità di ragioni, al ceto di appartenenza degli individui. Gli effetti delle norme adottate nel quinquennio 1938-1943 sono anch’essi tratteggiati nei loro aspetti non direttamente e non immediatamente patrimoniali: ad esempio, in termini di mancate opportunità di studio e conseguente avanzamento professionale e sociale. Aspetti che, peraltro, si traducono in un danno certamente concreto e perdurante anche nel medio e lungo termine, a tutt’oggi non compiutamente quantificato. Francesco Colzi e Claudio Procaccia nel contributo L’economia di Roma e la comunità ebraica dall’emancipazione alle leggi razziali (1870-1943) realizzano un’analisi di carattere prettamente economico del rapporto fra leggi razziali e comunità ebraica. La prima parte del saggio, relativa al periodo 1870-1938, traccia un quadro d’insieme dell’evoluzione del sistema economico romano nell’ambito delle grandi trasformazioni presenti in Italia in tale periodo, con una particolare attenzione ai cambiamenti registrati nell’ambito della comunità ebraica. La seconda parte s’incentra più specificamente sul periodo 1938-1943 ed affronta in qual modo e quanto le leggi razziali influirono sulle normali relazioni economiche esistenti nella comunità ebraica romana. Grazie ad un attento esame di alcune fonti archivistiche di carattere fiscale - finora non utilizzate - viene evidenziata la sostanziale involuzione della comunità a seguito dei provvedimenti fascisti, in particolare rispetto al commercio, principale attività lavorativa degli ebrei. Alessandra Camerano nel contributo Le società anonime romane e le attività economiche degli ebrei (1938-1943) affronta un interessante aspetto della complessa architettura del sistema economico della comunità ebraica romana: quello delle società anonime. Si tratta di una piccola porzione, se paragonata al complesso delle imprese esistenti, ma di particolare significato ed importanza, perché le società anonime rappresentavano le aziende più rilevanti per fatturato. L’autrice sottolinea come per questa élite della comunità le leggi ebbero un impatto sostanzialmente contenuto, sia a causa delle buone capacità reddituali degli imprenditori (che permisero loro di resistere più a lungo alle incipienti difficoltà operative), sia grazie ad una opera di “camuffamento” delle ditte ed alla interessata complicità di alcuni prestanome non ebrei. Il contributo di Veronica Rossi Coen dal titolo L’influenza delle leggi razziali sulle economie familiari: testimonianze affronta il tema dell’impatto delle stesse leggi attraverso le testimonianze dirette degli stessi protagonisti che vissero quei tristi momenti. Diciannove testimonianze che raccontano degli espedienti messi in atto dai vari membri della comunità ebraica per aggirare gli ostacoli e continuare a lavorare nonostante le leggi ostative, e dalle quali emerge la grande flessibilità delle stesse famiglie, che spesso si riciclavano in mestieri diversi pur di continuare ad avere una fonte di sostentamento. Il volume si conclude con una bibliografia ragionata, a cura di Silvia Haia Antonucci e di Hagar Isabel Lowental, che ripartisce la produzione scientifica sul periodo trattato secondo alcune macro categorie, e con una raccolta di documenti d’archivio e articoli di giornale dell’epoca relativi all’economia della comunità ebraica. LINEE DI SINTESI Dall’insieme dei singoli saggi e da ciò che emerge attraverso una rilettura complessiva delle fonti edite e inedite analizzate dagli autori, il dramma delle leggi razziali assume aspetti nuovi. Dal dibattito storiografico che ha riguardato i provvedimenti antiebraici fascisti negli ultimi decenni, di cui la ricerca propone una sintetica rassegna, emerge come quelle norme fossero in ultima analisi radicate in una più generale politica “antirisorgimentale” adottata da Mussolini. Una politica che, con specifico riferimento alla cosiddetta questione ebraica, prese quasi inavvertitamente le mosse dai Patti Lateranensi del 1929, che garantivano al culto cattolico lo status privilegiato di “religione dello Stato”. La normativa si concretizzò dapprima nel r.d. n. 1731/1930, mirante a sottoporre le Comunità Ebraiche ad una più stringente vigilanza pubblica e poi, più drammaticamente, nella normazione razzista che sancì il principio di ineguaglianza tra cittadini. Divenne, infine, conclamata con la trasformazione della Camera dei Deputati in Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Una trasformazione votata nella stessa seduta che approvò per acclamazione i regi decreti-legge “per la difesa della razza”, emanati tra il settembre e il novembre del 1938, e che pare in qualche modo segnare la coincidenza tra la ratifica delle norme antiebraiche e l’abbattimento delle istituzioni rappresentative dell’Italia nata dal Risorgimento. Dall’analisi dell’evoluzione del sistema economico romano risulta che la popolazione ebraica romana passò dalle circa 5.000 unità alle circa 11.600 nel periodo dal 1868 al 1938; una lenta crescita alla quale corrispose una graduale trasformazione del ruolo economico della comunità, orientata con sempre maggiore decisione verso il commercio, in particolare nei settori tessile e dell’abbigliamento. La crescita già lenta delle attività degli ebrei fu ulteriormente frenata dalle leggi razziali. Successivamente la guerra e, soprattutto, le deportazioni, ebbero un impatto ancor più devastante. La ricerca, per motivi di metodo, ha escluso lo studio del periodo successivo al luglio del 1943, evidenziando come le conseguenze delle leggi razziali ebbero un fortissimo impatto anche nei mesi che precedettero l’occupazione nazista. Agli 11.333 ebrei presenti a Roma tra il 1938 ed il 1941 - secondo il censimento effettuato dal Ministero della Demografia e Razza - corrispondevano 1.387 aziende, pari a 1.518 unità locali d’impresa, dedite nel 97% dei casi al commercio. Dalle informazioni presenti nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 298 (26 dicembre 1939) si evince che il 93% delle suddette unità locali aveva la forma di ditte individuali; inoltre, il 91% delle ditte registrate aveva una sola unità locale e circa l’80% di esse non impiegava personale. Infine, il 49% delle unità locali censite corrispondeva a negozi e il 43% a banchi fissi al mercato o ad ambulanti. Dal 1939 al 1943 circa il 18% delle aziende censite furono chiuse, cedute o fallirono. Ben 165 dei 667 venditori con il banco presenti a Roma nel 1938 chiusero le loro attività nell’arco di tempo considerato e, a partire dal 1942, altri 283 furono mobilitati dalle autorità fasciste per i lavori sugli argini del fiume Tevere. Dall’indagine risulta, in effetti, che gli ambulanti risentirono in maniera particolarmente drammatica delle limitazioni imposte al loro settore. L’applicazione della normativa emanata nel 1938 e negli anni seguenti determinò, dunque, la crisi del settore relativo alla vendita di merci presso i mercati rionali e causò gravi disagi non solo agli ebrei, ma anche a quella parte della popolazione romana che aveva necessità di acquistare merci a basso prezzo. Le forti restrizioni impedirono la continuazione della formazione di una classe media di commercianti ebrei romani che, dal 1870 sino al 1938, aveva contributo allo sviluppo commerciale della città, generando non solo il depauperamento della collettività ebraica nel suo complesso, ma anche l’incremento delle differenze economiche tra i membri della collettività romana. I pochi rappresentanti del ceto medio-alto abituati, da un lato, ad agire nel mondo dell’economia e della finanza, dall’altro, pronti a cogliere sin dall’avvio della normativa, i primi segnali di una crisi, riuscirono invece a garantirsi un tenore di vita ancora accettabile. Ciò avvenne, in particolare, attraverso la voltura della propria società o la fondazione di una nuova in forma di società anonima. Escamotage che, almeno fino al 1943, sembrarono in qualche modo funzionare, fino a “proteggere” coloro che riuscirono ad attuarli. Le società anonime, mediante le quali gli imprenditori ebrei tentarono di sfuggire alle normative anti-ebraiche, sollevarono non solo problemi strettamente giuridici, che le autorità fasciste non riuscirono a gestire, ma anche forti reazioni da parte dei titolari di aziende ed imprese romane non ebraiche. Il giornale “Il Tevere” iniziò una violenta campagna che si concentrò progressivamente proprio su coloro che usarono questo sistema per sfuggire al controllo dell’autorità. In ogni caso, il numero degli imprenditori che adottarono la società anonima fu limitato, in quanto i possessori di patrimoni in grado di strutturarsi tale forma giuridica erano, in un panorama economico ebraico basato essenzialmente sulla piccola imprenditoria individuale, una percentuale molto bassa. Le conseguenze economiche dell’applicazione delle leggi antiebraiche sono state valutate anche attraverso un’analisi dei registri relativi ai contribuenti della Comunità Ebraica di Roma: da un confronto fra gli anni 1938 e 1942 emerge una diminuzione del numero dei contribuenti di circa il 30%, alla quale la Comunità cercò di far fronte attraverso l'aumento delle aliquote di tassazione e dei singoli imponibili. Dall'analisi delle denunce di “razza ebraica” alla quale ogni ebreo doveva sottostare per legge, si evince comunque una sostanziale tenuta dell'ebraismo romano nei confronti delle avversità. Meno del 5% degli ebrei si battezzò o si dissociò dalla Comunità, mentre una percentuale irrisoria, pari a poco più del 3%, si allontanò fisicamente da Roma. Infine, circa il 10% degli ebrei romani furono “discriminati” e dunque poterono continuare a lavorare normalmente. È doveroso, comunque, sottolineare come sulla situazione economica della Comunità di Roma, a giudicare dai dati del 1942, abbiano avuto influenza sia la situazione bellica in Italia, con il ricorso all'autarchia, sia la situazione specifica della Comunità Ebraica a causa delle restrizioni indotte dalle leggi razziali. E’ quindi difficile distinguere esattamente quanto abbiano inciso l'una e l'altra motivazione sul deperimento economico dell'ebraismo romano. Per quanto riguarda le testimonianze orali, infine, è significativo come, nel ricordo delle persone intervistate, le limitazioni economiche appaiano meno drammatiche rispetto a quelle civili. Dalle stesse fonti è emerso che difficilmente la memoria si distacca dagli eventi molto più gravi, cioè le deportazioni, seguiti alla caduta del Governo fascista, così che tutto ciò che accadde prima, è ricordato come una fase interlocutoria, una lenta ed inarrestabile corsa verso la fine.
15-10-2004
ultima modifica: venerdì 15 ottobre 2004
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